Tag: Mario Artiaco

Recensioni

Diego, Lauro e Raffaele: tre amici e le loro bravate, l’ingenuità, il sogno, l’incoscienza. E poi la malattia, l’omosessualità, gli abusi e “la morte che pone fine a una vita, non a una relazione”. Due registri stilisticamente e graficamente differenti scandiscono il ritmo e le sensazioni. Il primo all’insegna dell’adolescenza, dei giochi, della spensieratezza, o presunta tale, e di una traversata oceanica che segna la fine di un’epoca. Il viaggio più strampalato e irrealizzabile cui si possa ardire. L’altro registro si connota di tinte drammatiche e anche l’inesorabile e lento spegnersi del protagonista finisce in secondo piano, spodestato dai racconti terribili della sua adolescenza. Il progressivo disvelarsi dell’omosessualità di Raffaele si impossessa della scena, ma le scoperte circa la sua convivenza con don Peppino, il sadico e perfido filantropo incontrato all’oratorio del Santuario della Madonna di Pompei, rubano la scena e infittiscono la trama.

L’ordine cronologico non viene rispettato: le continue digressioni conducono il lettore avanti e indietro nel tempo del racconto, che si impone e si sovrappone al tempo della storia. Raffaele narra, e chiede di narrare, avvenimenti assolutamente poliedrici nei toni, nei tempi e nelle ambientazioni: un romanzo nel romanzo. Il suo umore e le sue condizioni dominano e reggono le fila dell’impianto narrativo. Le Moire sono ormai prossime a recidere il filo del destino del “gigante buono” che non intende terminare il suo viaggio terreno tormentato da rimorsi e rimpianti. Nulla vorrebbe fosse indiviso, incompiuto, imperfetto. Laddove riesce, pone rimedio, ma alcuni avvenimenti non dipendono dalla sua sola volontà: così la madre, sorda e tracotante, incapace di accettare la sua natura, non

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Eventi

Tre amici e le loro bravate, l’ingenuità, il sogno, l’incoscienza, la malattia, l’omosessualità, gli abusi e “la morte che pone fine a una vita, non a una relazione”. Due registri diametralmente opposti, il giorno e la notte, la gioia e il dolore, scandiscono il ritmo e le sensazioni. Il primo all’insegna dell’adolescenza, dei giochi, la spensieratezza, o presunta tale, e un viaggio che segna la fine di un’epoca. Il viaggio più strampalato e impraticabile cui si possa ardire. L’altro registro assume toni e circostanze drammatiche e anche l’inesorabile e lento spegnersi del protagonista finisce in secondo piano spodestato dai racconti della sua adolescenza.

Il progressivo disvelarsi dell’omosessualità di Raffaele si impossessa della scena ma le scoperte circa la sua malattia e la sua convivenza con don Peppino, benefattore incontrato all’oratorio del Santuario della Madonna di Pompei, rubano la scena e infittiscono la trama.

L’ordine cronologico non viene rispettato. Raffaele racconta, e chiede di raccontare, avvenimenti assolutamente disparati nei toni, nei tempi e nelle ambientazioni. Il suo umore e le sue condizioni fisiche la fanno da padrone. Il tempo stringe e non intende terminare il suo viaggio terreno tormentato da rimorsi e rimpianti. Nulla vorrebbe fosse indiviso, incompiuto. Dove può, mette rimedio, ma alcuni avvenimenti non dipendono dalla sua sola volontà e così la madre, sorda e tracotante, incapace di accettare la sua natura, nulla compie nonostante il richiamo disperato del figlio morente la vorrebbe al suo capezzale.

Un romanzo d’Amore. E non si intenda quello che alberga tra uomo e donna o tra persone dello stesso sesso. Si narra anche dell’amore che lega indissolubilmente

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Le Mine Vaganti