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Campagne Nazionali

Cinque storie d’odio affidate ad altrettante card da diffondere via social, per raccontare omofobia, lesbofobia, transfobia, bifobia e afobia esattamente nelle forme in cui le incontriamo, tutti i giorni, nella realtà. Le cinque storie sono tratte dalla cronaca degli ultimi 12 mesi, mostrano l’attitudine dell’odio a cambiare forma, sembianze, linguaggio, attori, occasioni. Ma sempre odio resta, anche quando chi lo pratica lo rivendica in nome di una fraintesa libertà, quasi fosse un diritto. Invece, “La Violenza non è un diritto. Combatterla è un dovere”, recita il claim della campagna realizzata da Arcigay in occasione del 17 maggio,  Giornata Internazionale contro omofobia, lesbofobia, transfobia, bifobia, afobia. E per combattere l’odio, bisogna riconoscerlo, tanto nel vetro di una bottiglia brandita per picchiare quanto nel manifesto funebre con cui una famiglia umilia la figlia ripudiata, nella scritta sull’armadietto dello spogliatoio o sulla bacheca di un social network.

Fonte: arcigay.it

OMOTRANSFOBIA, 138 STORIE NEL REPORT ARCIGAY: MAGLIA NERA AL NORD, LÌ LA MAGGIORANZA DELLE AGGRESSIONI – Piazzoni: “Persone lgbti vulnerabili e spesso ancora invisibili”

“Quest’anno il 17 maggio, Giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, porta con sé il trentesimo anniversario del giorno in cui l’omosessualità fu tolta dall’elenco delle malattie mentali dell’OMS”: dichiara Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay, che prosegue:  “In questi 30 anni, guardandoci intorno, abbiamo potuto misurare l’avanzamento culturale con cui ogni Paese ha capitalizzato questa conquista, comprendendo che i diversi orientamenti e le diverse identità di genere non sono malattie, e stigmatizzando chi le considera tali, perché minaccia il benessere, se non addirittura l’incolumità, di una parte della società.

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Ogni giorno può capitare di essere testimoni di comportamenti o discorsi pieni di odio verso le persone lesbiche, gay, bisessuali e trans.
Dai luoghi di lavoro alla scuola, dal supermercato alla famiglia, milioni di persone vedono episodi di discriminazione o ascoltano discorsi carichi di offese e disprezzo, talvolta mascherati da battute o scherzo, ma non per questo meno dolorosi per coloro che li subiscono.

L’indifferenza delle persone perbene è la più grande alleata dell’odio.
Se assisti a episodi di violenza fisica o verbale, non fare finta di non vedere o di non sentire, non ti voltare dall’altra parte.
Intervieni e manifesta il tuo dissenso verso queste ingiustizie.

Combattere le discriminazioni che altre persone subiscono per il loro orientamento sessuale o per la loro identità di genere dipende anche da te.
La costruzione di un mondo più inclusivo e più giusto è un dovere di tutt*.

MOSTRA IL TUO SOSTEGNO:

In occasione dell’International Day Against Homophobia, Biphobia, Intersexism and Transphobia #IDAHOBIT utilizza le nostre cornici profilo Facebook per dire al mondo “IO NON RESTO INDIFFERENTE. Combatto l’omofobia, la bifobia, la transfobia”. Dai un segnale forte e visibile del tuo impegno contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.

Fonte: arcigay.it

OMOTRANSFOBIA, 187 CASI NEL REPORT 2019 DI ARCIGAY. PIAZZONI: “IMPENNATA DRAMMATICA SU CUI LA POLITICA HA EVIDENTI RESPONSABILITÀ

Persone LGBTI picchiate, derise, discriminate, vittime di ricatto, insultate e in molti casi bersaglio di una deliberata campagna d’odio da parte di forze politiche e gruppi neofascisti: il ritratto che emerge dal report 2019 dei casi di omotransfobia, notiziati dal 17 maggio 2018 a oggi, è impietoso.

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Il lavoro occupa una parte importante della nostro tempo e quindi della nostra vita. Il luogo di lavoro è un contenitore di relazione,di dinamiche interpersonali e sociali. Per questo è necessario che i luoghi di lavoro siano spazi sicuri, accoglienti ed inclusivi.

Da queste premesse nasce la Campagna nazionale di Arcigay per i diritti e la visibilità delle persone Lgbti+ sui luoghi di lavoro “Te l’ho mai detto?”
In prossimità del 1 maggio, festa dei lavoratori, si è ritenuto doveroso porre l’attenzione sull’importanza che assume, per le persone lgbti+, lavorare in contesti non discriminanti, nei quali sentirsi liberi e sicuri di narrare e agire il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere. La visibilità diventa lo strumento di affermazione di diritti e di decostruzione di pregiudizi.
Sei professionist* sono i protagonist* degli scatti del fotografo Giuseppe Gradella che ha scelto i luoghi di lavoro dei propri soggetti per raccontare l’importanza, per il benessere del lavoratore, di non nascondere la propria dimensione affettiva e sessuale, la propria identità di genere e come questo possa avere ricadute positive sulla propria professionalità.
 
La Campagna nazionale per i diritti e la visibilità delle persone Lgbti+ sui luoghi di lavoro “Te l’ho mai detto?” è il risultato dell’attività svolta, in questi mesi, dai componenti dell’area tematica Politiche per il Lavoro di Arcigay ed è stata ideata e realizzata dal comitato territoriale Arcigay Mantova che ha messo a disposizione le proprie professionalità, a titolo volontario.
 
Oltre alla campagna, Arcigay aderisce alla Manifestazione Nazionale del 1° Maggio Festa dei Lavoratori che quest’anno si svolge a Bologna alla presenza dei Segretari Generali
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Campagna per la Giornata della visibilità lesbica (26 aprile 2019) a cura della Rete Donne di Arcigay.
 
Da sempre la soggettività lesbica è vittima di un processo di invisibilizzazione, stigmatizzazione e stereotipizzazione messo in atto – in modo strutturale e sistemico – dalla cultura dominante sessista, patriarcale e maschilista.

Le lesbiche non esistono nello spazio e nel discorso pubblico/politico e lo dimostra il fatto che, nel linguaggio come nella percezione comune, la parola “lesbica” è ancora considerata un insulto. “Riusciamo a essere maschilisti perfino nella discriminazione” ha scritto Claudio Rossi Marcelli, sottolineando come persino l’hate speech (discorso d’odio) in salsa gender, ci offra un vasto campionario di parole con le quali appellare gli uomini gay, denigrandoli, mentre se ne usa una soltanto per etichettare le donne che amano le donne, semplicemente come lesbiche.

La soggettività lesbica è definita per negazione. La retorica del “maschio mancato” è un chiaro esempio di narrazione che squalifica le donne lesbiche, posizionandole nel gradino più basso della scala sociale.

In un paese che trasforma le donne in bersaglio controllando i loro corpi, limitando la loro autodeterminazione, violando diritti e libertà acquisite, le lesbiche sono una minoranza nella minoranza che, vive sulla propria pelle, il doppio e triplo stigma di essere donne lesbiche e donne trans lesbiche.

Le ricerche mettono in luce come sia più difficile per le lesbiche, essere visibili. La scelta di relegare la propria omosessualità ad una sfera individuale e privata che nella relazione di coppia trova una zona di confort, è troppo spesso dettata dalla paura. Paura di essere insultate, derise, sminuite. Di perdere lavoro ed opportunità.

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La Giornata internazionale della visibilità per transgender è un evento dedicato alla celebrazione delle persone transgender e alla sensibilizzazione in merito alle discriminazioni subite dalle persone transgender in tutto il mondo. La giornata è stata fondata dall’attivista transgender statunitense Rachel Crandall of Michigan nel 2009 come reazione alla mancanza di festivitàche riconoscesse e celebrasse i membri viventi della comunità transgender.

Il 31 marzo 2009 si è tenuto il primo International Transgender Day of Visibility. Da allora è stato guidato dall’organizzazione per la difesa dei giovani con sede negli Stati Uniti, Trans Student Educational Resources.

Nel 2015, molte persone transgender hanno partecipato a una campagna di social media online su siti Web tra cui Facebook, Twitter, Tumblr e Instagram. I partecipanti hanno postato autoscatti, storie personali e statistiche relative alle questioni transgender e ad altri contenuti correlati per aumentare la consapevolezza e aumentare la visibilità.

Arcigay ha deciso di esserci anche quest’anno con una campagna che rispondesse alla domanda: Cosa è per Te la visibilità?
E’ quindi con orgoglio, coraggio e determinazione che tante persone T ( appartenenti ad Arcigay e non) si sono fotografate ed hanno risposto alla domanda dando un pluri significato alla Giornata a cominciare da #ioesisto.

Fonte: arcigay.it

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Si intitola “Non fa ridere” la campagna social che Arcigay lancia per contrastare il discorso d’odio on line (hate speech), in particolare quello che maschera omofobia, lesbofobia, transfobia, bifobia con il velo dell’ironia, in modo da renderli socialmente accettabili e perfino virali sul web.

L’iniziativa è inserita all’interno del progetto europeo Accept realizzato da Arcigay assieme alla Fondazione Bruno Kessler di Trento e che ha monitorato, grazie a una piattaforma progettata ad hoc dai tecnici della fondazione, per un anno (da marzo 2018 a febbraio 2019) quasi 530mila contenuti, tra tweet, news e post su facebook.

Un gruppo di valutatrici e valutatori (diversi per provenienza geografica, sesso, orientamento sessuale, età, e livello di istruzione ma accomunati dalla dichiarata appartenenza a posizioni socio-politiche liberali, progressiste e democratiche) si è occupato di classificare i tweet (positivi se mostravano una posizione aperta e inclusiva nei confronti delle persone LGBTI, negativi se escludenti, discriminatori e offensivi, dubbi se il messaggio era ambiguo o poco decifrabile).

L’analisi ha scremato il materiale e ha portato alla definizione di un campione di 5.189 tweet che hanno permesso di trarre alcune prime considerazioni: innanzitutto, i messaggi contenenti odio si possono dividere in tre cluster: mondo dello spettacolo, dibattito pubblico e attualità, diritti e temi etici. Le parole più ricorrenti nei messaggi negativi sono: ricchione, propaganda, ordine, natura. Quelle più ricorrenti nei messaggi positivi sono: cittadini, gruppo, associazioni, sociali. Nei messaggi dubbi troviamo: privilegio, battuta, scherzo, opinione. E ancora: i tweet più polarizzanti, ovvero quelli in cui i

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Ogni giorno #LOTTOMARZO – Rete Donne ARCIGAY

Sette donne simbolo dell’attivismo LGBT*QIPA+ (lesbica, gay, bisex, trans*, queer, intersex, pansexual, asessuali, altre soggettività) e non solo, sono le protagoniste della campagna social promossa dalla Rete Donne ARCIGAY per ribadire che la lotta alla violenza di genere, alla discriminazione e all’abilismo sono un impegno quotidiano. Sono Hande Kader, Audre Lorde, Marsha P.Johnson, Marcella Di Folco, Marielle Franco, Mariasilvia Spolato e Stella Young e le loro vite – spesso dimenticate – parlano di autodeterminazione, r-esistenza e di ribellione alle norme imposte e del prezzo che si paga per la libertà.

SCIOPERO GLOBALE TRANSFEMMINISTA: NOI CI SIAMO

Per noi l’8 marzo è una giornata di rivendicazione e di lotta nella quale i nostri corpi si uniscono a quelli delle compagne di Non una di meno e di tutt* coloro che si riconoscono nella piattaforma politica dello sciopero globale transfemminista.

Lo sciopero globale transfemminista è una mobilitazione che ci chiama in causa, chiedendoci molto di più di una adesione di principio. In un momento storico come questo, in cui le donne e le soggettività LGBT*QIPA+ (lesbica, gay, bisex, trans*, queer, intersex, pansexual, asessuali, altre soggettività) sono nuovamente sotto assedio, non possiamo essere spettator* passiv*, dobbiamo mobilitarci nella condivisione di pratiche internazionali di r-esistenza.

Sentirsi parte della marea transfemminista che attraverserà le strade, occuperà le piazze, invaderà i luoghi di lavoro e di cura e aderire alle mondalità di sciopero previste, significa ribadire che violenza sulle donne eLGBT*QIPA+-fobia hanno la stessa radice/matrice nella cultura patriarcale basata sull’eteronormatività e sul binarismo di genere. E agire di conseguenza per mettere in discussione l’eterosessualità 

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Siamo tutt* sierocoinvolt*” è il claim della nuova campagna di Arcigay che, con un video, lancia un doppio messaggio: un appello ad un’assunzione di responsabilità collettiva sulla riduzione dell’epidemia e dello stigma verso le persone con HIV, ma anche un messaggio informativo sul fatto che oggi una persona con HIV in terapia con carica virale non rilevabile non trasmette il virus.

Siamo tutt* “sierocoinvolt*” significa che ha sempre meno senso, se mai lo ha avuto, dividere il mondo in sieropositivi (persone che vivono con HIV) e sieronegativi (persone che non hanno l’HIV), perché tutti hanno avuto, consapevoli o meno, e a vari livelli di prossimità, esperienza dell’HIV nella realtà degli incontri della propria vita o nell’immaginario delle proprie paure.

La vera differenza oggi la fa proprio quell’assunzione di responsabilità collettiva, condivisa, di comunità, per cui si dice un secco no “al muro avvelenato del silenzio, della paura e del rifiuto” e si fa tesoro di tutti quegli strumenti di prevenzione che oggi ci sono e consentono di “godersi la vita e il sesso”. Anche con l’HIV, per evitare nuove infezioni.

Perché la campagna ribadisce anche un altro concetto che Arcigay veicola da tempo: una persona che vive con HIV e che segue una terapia efficace stabile, con carica virale non rilevabile, non trasmette il virus. Questo aspetto diventa non solo uno strumento di prevenzione contro la diffusione dell’HIV, ma anche un potente strumento di liberazione dalla paura. Paura di infettare (per le persone con HIV) o di infezione (per chi incontra persone con HIV). Nel video della campagna questo concetto lo ribadiscono, assumendosi quella responsabilità collettiva auspicata,

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L’AUTODETERMINAZIONE DELLE DONNE NON SI TOCCA

La prima campagna realizzata da Arcigay per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre)

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Arcigay lancia la campagna “NESSUN CONTROLLO SUL MIO CORPO. L’AUTODETERMINAZIONE DELLE DONNE NON SI TOCCA”

Sei istantanee, sei polaroid, per fotografare la violenza più subdola, quella che limita l’autodeterminazione e la libertà delle donne sul proprio corpo, sul proprio orientamento sesso-affettivo, sulla propria identità di genere e sulle proprie scelte di vita.

La campagna “NESSUN CONTROLLO SUL MIO CORPO” rimette al centro il corpo delle donne: un corpo liberato, non performante e non conforme, che chiede di occupare uno spazio pubblico e politico.

I corpi della campagna “NESSUN CONTROLLO SUL MIO CORPO” sono corpi “senza volti” perché la violenza sulle donne lesbiche, bisex, trans*, intersex e sulle donne che decidono di portare una gravidanza per altri/altre così come la violenza che colpisce tutte le altre donne, non guarda in faccia nessuna, calpestando i diritti di tutte.

La violenza di cui  si parla nella campagna non è solo la violenza fisica e psicologica, ma è anche la violenza che nasce da un sistema patriarcale e di oppressione alimentato da stereotipi e pregiudizi, basato sulla cultura dell’odio e del giudizio, rinforzata da una rappresentazione binaria della società. La violenza che si esprime attraverso un linguaggio sessista, non inclusivo, non rispettoso e per questo violento, che ammantandosi di paternalismo e di falsi moralismi, produce marginalizzazione e isolamento.

A questa violenza le donne protagoniste della campagna non si arrendono. In tutte le istantanee – anche in quelle

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Le Mine Vaganti